Saper usare una macchina fotografica si riduce essenzialmente al sapere tre o quattro concetti fondamentali. Con questo non voglio dire che padroneggiare questi pochi elementi sia sufficiente per fare delle belle foto (sono tanti gli aspetti che concorrono ad una bella foto, la composizione, l’uso dei colori… insomma tutto il magico mondo dell’estetica) ma, se non altro, non potrete dare più la colpa alla macchina fotografica..
Uno di questi concetti fondamentali è il diaframma: cos’è? Perché è importante?
Cos’è?
Il diaframma è il meccanismo che ha il compito di regolare la quantità di luce che raggiunge il sensore della macchina fotografica. Generalmente è situato all’interno dell’obiettivo.
Nelle prime macchine fotografiche era composto da una piastra metallica con tanti fori di diverso diametro, che muovendosi permetteva di allineare il foro desiderato con il centro ottico della lente.
I diaframmi moderni sono invece costituiti da una serie di lamelle metalliche disposte a ventaglio, che muovendosi creano un foro di dimensione variabile a piacimento. Sono chiamati “diaframmi ad iride”, perché proprio come nell’occhio, consentono una variazione di apertura senza soluzione di continuità.
A prescindere dalla forma, maggiore è l’ampiezza del foro, maggiore è la quantità di luce che potrà passare.
La scala
Qualsiasi macchina fotografica che possa essere usata in modalità “Manuale”, ha la possibilità di impostare la dimensione del foro del diaframma, e di conseguenza la quantità di luce che può passare attraverso l’obiettivo e raggiungere il sensore.
Alla fine tutto si riduce al ruotare una ghiera in un senso o nell’altro, per aumentare o diminuire la dimensione di questo foro, ma se vogliamo capire quello che stiamo facendo è bene rallentare un attimo.
La prima cosa da sapere è che esiste una scala di valori che indica l’apertura del diaframma, la seconda cosa è che questa scala è standard (che usiate Canon, Nikon, Sony o qualsiasi altra marca, vi ritroverete sempre ad avere a che fare con gli stessi numeri). E direi anche meno male.
I valori della scala sono i seguenti:
1 1.4 2 2.8 4 5.6 8 11 16 22 32 …
E spesso vengono indicati con un f/ davanti:
f/1 f/1.4 f/2 f/2.8 f/4 f/5.6 f/8 f/11 f/16 f/22 f/32 ….
Le cose più importanti da ricordare sono due:
- Più piccolo è il valore, più grande è l’apertura del diaframma corrispondente (e di conseguenza maggiore sarà la quantità di luce che potrà passare). Al contrario, più grande è il valore, più piccola sarà l’apertura del diaframma (e minore la quantità di luce). Ad esempio: f/2.8 indica un apertura maggiore di f/11; a f/2.8 passa quindi più luce che a f/11.
- La scala è stata costruita in modo tale che, tra un valore e il successivo, la quantità di luce raddoppi o si dimezzi, e in gergo si dice aumentare o diminuire di “1 stop”. Per esempio, tra f/1 e f/1.4, la quantità di luce si dimezza (-1 stop), tra f/1.4 e f/2 si dimezza ancora (-1 stop), e così via.
Nomenclatura
Su ogni obiettivo è indicata la massima apertura possibile del diaframma, con la dicitura 1: ƒ.
Canon EF 50mm f/1.4
Se prendiamo ad esempio questo obiettivo Canon 50mm, leggiamo 1:1.4, quindi la massima apertura sarà f/1.4.
Dettaglio Canon EF 50mm f/1.4
Negli obiettivi zoom, soprattutto nei modelli economici, è possibile che i valori di apertura massima indicati siano due; questo significa che l’apertura non sarà costante, ma varierà tra i due valori indicati a seconda della lunghezza focale impostata.
Canon EF-S 18-55mm f3.5-5.6 [https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Canon_EF-S_18-55mm_F3.5-5.6_II_05.jpg]
Sull’obiettivo nella foto qui sopra leggiamo 18-55mm 1:3.5-5.6; questo vuol dire che a 18mm la massima apertura sarà f/3.5, mentre a 55mm scenderà a f/5.6.
Profondità di Campo
Modificare l’apertura del diaframma ha diversi effetti, il primo è quello che abbiamo già detto, ovvero aumentare o diminuire la quantità di luce che raggiunge il sensore. Questo banalmente si traduce in una foto più chiara, o più scura.
Il secondo effetto, molto importante, è sulla “profondità di campo”, cioè la zona dell’immagine in cui gli oggetti appaiono nitidi, “a fuoco”. Ad un diaframma aperto corrisponde una scarsa profondità di campo, ad un diaframma chiuso corrisponde una grande profondità di campo.
Per esempio, se voglio scattare un soggetto e avere lo sfondo sfocato, imposterò una grande apertura, come f/2.8, se invece voglio cercare di avere a fuoco sia il soggetto che lo sfondo, imposterò un diaframma chiuso, come f/11, o f/16.
Qui di seguito un esempio di come diversi valori di apertura del diaframma influiscano sulla profondità di campo:
E in versione animata:
Difetti
Una cosa da considerare, nel decidere quale diaframma utilizzare per una foto, è che generalmente gli obiettivi rendono meglio ai diaframmi intermedi.
A diaframmi molto aperti o molto chiusi, oltre ad una generale diminuzione di nitidezza, entrano in gioco alcuni fenomeni ottici:
-
- Diffrazione: compare a diaframmi molto chiusi, e sostanzialmente provoca una diminuzione di nitidezza.
100% Crop (Canon EF 100mm f/2.8L Macro)
- Vignettatura: compare a diaframmi molto aperti, è una caduta di luce agli estremi del fotogramma.
Vignettatura Canon 50mm f/1.4 a f/1.4.
Vignettatura Canon 50mm f/1.4 a f/2.8
- Aberrazioni Cromatiche: compaiono a diaframmi molto aperti, è un difetto ottico che provoca la comparsa di aloni colorati nei bordi più contrastati dell’immagine.
Canon 50mm f/1.4 – A sinistra f/4, a destra f/1.4. Si nota facilmente che nell’immagine di destra sono presenti degli aloni viola tipici dell’aberrazione cromatica.
Valori intermedi
È possibile impostare la macchina fotografica in modo tale che nella scala dei diaframmi compaiano anche dei valori intermedi tra uno stop e l’altro. Esistono due opzioni (non tutte le macchine hanno la possibilità di sceglierle entrambe). A passi di 1/2 stop:
1 1.2 1.4 1.7 2 2.4 2.8 3.3 4 4.8 5.6 6.7 8 9.5 11 13 16 19 22 27 32
O a passi di 1/3 di stop:
1 1.1 1.3 1.4 1.6 1.8 2 2.2 2.5 2.8 3.2 3.5 4 4.5 5 5.6 6.3 7.1 8 9 10 11 13 14 16 18 20 22 25 29 32
Generalmente è meglio usare la scala a 1/3 di stop, in quanto consente una regolazione più precisa.
Bokeh
Il termine “bokeh” deriva dal giapponese, e significa “sfocatura”. Quando si parla di qualità di bokeh, ci si riferisce appunto alla qualità delle aree fuori fuoco della foto. Da cosa dipende? Dalla costruzione dell’obiettivo, e in maggior parte dalla forma del diaframma.
A seconda del numero di lamelle che lo compongono, il diaframma darà luogo ad un foro della forma di un poligono differente. Un diaframma con 5 lamelle, per intenderci, creerà un foro pentagonale, uno con 6 lamelle creerà un foro esagonale, e così via.
Esempio di diaframma con 9 lamelle (Canon EF 100mm f/2.8L Macro).
Esempio di diaframma con 8 lamelle (Canon EF 50mm f/1.4).
Maggiore è il numero di lamelle, più la forma del foro si avvicinerà ad un cerchio. Anche se è un concetto estetico, quindi soggettivo, viene solitamente ritenuto migliore il bokeh ottenuto da un cerchio perfetto.
Bokeh derivante da un diaframma con 8 lamelle.
Bokeh derivante da un diaframma con 9 lamelle.
Per i più curiosi
Bene, arrivati a questo punto, per chi ha voglia di approfondire, cominciamo a complicarci la vita e andiamo a vedere da dove saltano fuori questi numeri.
La prima fregatura sta nel fatto che l’intensità luminosa che raggiunge il sensore non dipende solo dalla grandezza del diaframma, ma anche dalla lunghezza focale dell’obiettivo; infatti a parità di dimensioni del diaframma, se la focale raddoppia, l’intensità luminosa si dimezza. In altre parole, per ottenere la stessa quantità di luce, se la focale aumenta, anche la dimensione del diaframma deve aumentare.
Questo è in effetti il motivo per cui le ottiche a lunga focale hanno lenti più grandi, e comunque difficilmente raggiungono aperture molto elevate.
Proprio per questo motivo, la scala dei valori di apertura del diaframma è stata definita usando la cosiddetta “apertura relativa ƒ“, che rappresenta il rapporto tra la lunghezza focale (f) e il diametro del foro di apertura del diaframma (d) (e quindi esprime la quantità di luce che raggiunge il sensore, piuttosto che le reali dimensioni del diaframma!).
ƒ = f/d
Per esempio, un obiettivo con focale 100mm, e diametro 50mm, avrà un’apertura relativa di:
100/50= 2
Diminuendo il diametro a 25mm (quindi entrerà meno luce), otteniamo:
100/25= 4
Cioè un valore più alto. Da questo si capisce come mai la scala sembra al contrario.
E come mai nella scala compaiono valori a prima vista cosi strani? Perché, come abbiamo detto prima, l’intensità luminosa che passa attraverso l’obiettivo dipende dalla “dimensione” del diaframma, cioè dall’AREA del foro.
Quindi per raddoppiare la quantità di luce che passa, devo raddoppiare l’AREA. Raddoppiando l’area, il diametro aumenta di √2. Partendo quindi da 1, e moltiplicando per √2, ottengo tutti i valori della scala: